Ancora oggi un altra notizia di massacro in Siria contro le proteste del popolo, da parte del regime di Bashar al-Asad. Notizia che si aggiunge a un fiume ininterrotto di fatti simili avvenuti in questi mesi non solo in Siria ma anche in altri Paesi, quali Egitto, Libia, Yemen, Somalia. Rivolte caratterizzate da un'unica richiesta di fondo: democrazia, libertà, opportunità per una vita al di fuori della povertà che attanaglia queste terre.
Non posso fare a meno di notare la differenza con cui l'Occidente si è mosso rispetto alle richieste di libertà di questi popoli: un orecchio, quello di noi occidentali, proteso all'ascolto solo a tratti, interessato a rapide soluzioni dei conflitti solo in determinati contesti e non in altri..e non credo ci sia bisogno di intuire le motivazioni di fondo di questo comportamento "a corrente alternata".
Allora ci si chiede cosa veramente siamo noi, quale sia il livello raggiunto dalla nostra civiltà rispetto alla tematica fondamentale dei diritti umani, dei principi di cui ci vantiamo agli occhi di altri popoli da noi definiti "arretrati".
Cos'è questa libertà che sbandieriamo quando più ci fà comodo: quella che ci spinge a portare guerre - su guerre esistenti - laddove rischiamo di perdere l'approvvigionamento di risorse energetiche? Quella che ci vuole protagonisti di negoziati - infiniti e spesso risolti in un nulla di fatto - in aree economicamente e politicamente strategiche? Quella che mette in secondo - o terzo - piano alcune informazioni e ne esalta altre, così da addomesticare e orientare la presunta capacità di scelta e giudizio autonomi di noi semplici cittadini? Quella che intende il mantenimento di una realtà acquisita per alcuni, a costo della non-libertà altrui?
Tutto questo lascia perplessi e probabilmente fà capire quanta strada dobbiamo ancora percorrere per aspirare a quell'idea di libertà che ha ispirato tante rivoluzioni, tante rivolte, tanti popoli affamati e oppressi in passato, nel presente e probabilmente anche nel futuro. E' forse insito nell'essere umano l'adagiarsi a compromessi "comodi" una volta raggiunti degli obiettivi: ma è anche insita nell'umanità la voglia di andare sempre oltre, sempre più avanti. Come uomini occidentali non possiamo dunque pensare di essere arrivati, nè forse avere la pretesa di salire in cattedra e insegnare troppo di democrazia e libertà: forse dovremmo acquisire maggiore umiltà nel nostor rapporto con "gli altri", forse dovremmo pensare a un lavoro multilaterale, a un ascolto più responsabile e più oggettivo, a cambiare anche il punto di vista sulla nostra ricchezza, sul fatto che forse - se tutti stanno meglio - stiamo meglio anche noi.
domenica 31 luglio 2011
venerdì 29 luglio 2011
PD: MORALITA' DEL PARTITO E MORALITA' DEI POLITICI
Le questioni riguardanti la richiesta di arresto del senatore Tedesco, la presunta corruzione di Penati nella faccenda dell'ex area Falck di Sesto San Giovanni ha riproposto in questi giorni il tema della "questione morale".
Intanto mi chiedo se fin'ora il tema non fosse già presente, visti i numerosi casi, scoperti in questi anni, di episodi - se non di corruttela diretta - di "cricche" e sistemi di spartizione di potere operanti in vari settori della cosa pubblica. Mi domando inoltre il grande risalto - doveroso per carità - dato alla vicenda di Penati-indagato (quindi al momento nè rinviato in giudizio, ne processato, ne condannato in primo, secondo o terzo grado) rispetto ad altri casi passati e tutt'ora attuali di politici già rinviati in giudizio, già processati, già anche condannati con vari tipi di sentenze, a partire dal nostro amato Premier.
A parte questo, sento di fare una riflessione che si unisce alla riflessione di molti all'interno del PD o semplicemente da elettori del più grande partito di centro sinistra italiano: come leggere questi avvenimenti, come muoversi, quale linea adottare e quali correzioni eventuali apportare al sistema generale di funzionamento del partito.
Personalmente non mi piace l'assimilazione - tutta antipolitica - fra singolo esponente politico e partito: non la ritengo razionalmente e moralmente corretta.
Immaginiamo - e al momento possiamo solo ipotizzare - che Penati sia colpevole di tutto ciò di cui è sospettato.
Se un partito è serio, deve reagire immediatamente, deve mettere in azione gli anticorpi, deve chiarire subito da che parte sta: il PD fin'ora sembra averlo fatto: chiesto l'arresto del sen. Tedesco, ha chiesto le sue dimissioni; ha chiesto un passo indietro a Penati e ha dichiarato fiducia nella magistratura e nelle indagini. Il PD fin'ora ha dimostrato di averli degli anticorpi, qualunque sia l'esito delle indagini.
E allora la riflessione sulla moralità della politica non può farsi in un unico calderone: esistono diversi livelli di problemi e quindi diversi livelli di analisi delle reazioni. Non si può assimilare il comportamento di una o più persone al comportamento di un intero partito, non si può far finta che non ci siano differenze di reazioni ai fatti di questi giorni.
Un partito è tale quando vive a prescindere dai singoli esponenti, quando quella sigla - in questo caso "PD" - è rappresentativa di idee e programmi, di un tipo di condotta politica e di una linea nella gestione dei ruoli e dei comportamenti interni, di un codice etico che si dà, nero su bianco. Quando qualcuno sbaglia, non segue quel codice o quella condotta, è giusto che venga riconosciuto, che faccia un passo indietro, che si sottoponga con serenità al giudizio della magistratura, che paghi se deve pagare. Il tutto perchè l'idea, il gruppo, devono essere la priorità del PD, proprio perchè il PD non è un partito-persona, proprio perchè il PD ha costruito un sistema che si autorigenera dal'interno grazie a meccanismi democratici interni, sia pur ancora a volte imperfetti. Finchè il PD sarà questo, qualunque indagine, qualunque scandalo o gossip non deve intimorire, nè deve generare il desiderio di "mollare", di pensare di non farcela: piuttosto deve stimolare la voglia di rinnovamento, di miglioramento, di partecipazione, di isolamento progressivo di ogni forma di malapolitica e corruttela.
Intanto mi chiedo se fin'ora il tema non fosse già presente, visti i numerosi casi, scoperti in questi anni, di episodi - se non di corruttela diretta - di "cricche" e sistemi di spartizione di potere operanti in vari settori della cosa pubblica. Mi domando inoltre il grande risalto - doveroso per carità - dato alla vicenda di Penati-indagato (quindi al momento nè rinviato in giudizio, ne processato, ne condannato in primo, secondo o terzo grado) rispetto ad altri casi passati e tutt'ora attuali di politici già rinviati in giudizio, già processati, già anche condannati con vari tipi di sentenze, a partire dal nostro amato Premier.
A parte questo, sento di fare una riflessione che si unisce alla riflessione di molti all'interno del PD o semplicemente da elettori del più grande partito di centro sinistra italiano: come leggere questi avvenimenti, come muoversi, quale linea adottare e quali correzioni eventuali apportare al sistema generale di funzionamento del partito.
Personalmente non mi piace l'assimilazione - tutta antipolitica - fra singolo esponente politico e partito: non la ritengo razionalmente e moralmente corretta.
Immaginiamo - e al momento possiamo solo ipotizzare - che Penati sia colpevole di tutto ciò di cui è sospettato.
Se un partito è serio, deve reagire immediatamente, deve mettere in azione gli anticorpi, deve chiarire subito da che parte sta: il PD fin'ora sembra averlo fatto: chiesto l'arresto del sen. Tedesco, ha chiesto le sue dimissioni; ha chiesto un passo indietro a Penati e ha dichiarato fiducia nella magistratura e nelle indagini. Il PD fin'ora ha dimostrato di averli degli anticorpi, qualunque sia l'esito delle indagini.
E allora la riflessione sulla moralità della politica non può farsi in un unico calderone: esistono diversi livelli di problemi e quindi diversi livelli di analisi delle reazioni. Non si può assimilare il comportamento di una o più persone al comportamento di un intero partito, non si può far finta che non ci siano differenze di reazioni ai fatti di questi giorni.
Un partito è tale quando vive a prescindere dai singoli esponenti, quando quella sigla - in questo caso "PD" - è rappresentativa di idee e programmi, di un tipo di condotta politica e di una linea nella gestione dei ruoli e dei comportamenti interni, di un codice etico che si dà, nero su bianco. Quando qualcuno sbaglia, non segue quel codice o quella condotta, è giusto che venga riconosciuto, che faccia un passo indietro, che si sottoponga con serenità al giudizio della magistratura, che paghi se deve pagare. Il tutto perchè l'idea, il gruppo, devono essere la priorità del PD, proprio perchè il PD non è un partito-persona, proprio perchè il PD ha costruito un sistema che si autorigenera dal'interno grazie a meccanismi democratici interni, sia pur ancora a volte imperfetti. Finchè il PD sarà questo, qualunque indagine, qualunque scandalo o gossip non deve intimorire, nè deve generare il desiderio di "mollare", di pensare di non farcela: piuttosto deve stimolare la voglia di rinnovamento, di miglioramento, di partecipazione, di isolamento progressivo di ogni forma di malapolitica e corruttela.
martedì 26 luglio 2011
OSLO - UTOYA. L'Europa scelga di essere "EUROPA"
Sul racconto dei fatti non dirò nulla: il titolo è sufficiente, lo stupore non può placarsi, il silenzio è l'unica cosa che esprimo.
Gli spunti di riflessione generale e "lati" sono invece tanti, dopo l'emozione del momento. Intanto si sdogana finalmente l'esistenza reale di un estremismo legato a motivi religiosi di matrice cristiana. Infatti, nonostante ovviamente l'aspetto "psicopatico" del gesto dell'assassino norvegese, non si può più far finta che nel mondo occidentale non esistano gruppi estremisti - di destra cristiana fondamentalista - che inneggiano all'isolazionismo, alla "purezza" delle razze, all'incomunicabilità fra popoli e civiltà diverse. Gruppi che negano ogni forma di integrazione e che negano quindi la storia stessa dell'uomo, soprattutto dell'uomo europeo: dunque negano il concetto stesso di Europa così come abbiamo imparato a conoscerlo noi, soprattuto la mia generazione che ha studiato sui sussidiari della scuola elementare l'Europa dei blocchi contrapposti e poi ha terminato gli studi in una Europa U.E., che andava da nord a sud e da est a ovest. Un'Europa che voleva andare oltre le differenze, oltre i confini nazionali, oltre le politiche dell' "ognuno per sè". Un'Europa che diventava un'unica voce nel mutato contesto mondiale, un'Europa - patria della democrazia ateniese, della rivoluzione francese e di Cesare Beccaria, del genio italico, della mescolanza di civiltà, lingue e culture - che finalmente doveva trasmettere al mondo un messaggio chiaro: si può crescere, si può stare meglio stando insieme, senza paura di mescolarci perchè solo con la conoscenza reciproca si può essere davvero portatori di pace e quindi di prosperità.
Il gesto di Oslo è l'atto osceno e plateale di un "male" che cova in occidente, quello stesso male che ha portato tanti disastri nella nostra storia di europei e nella storia di tanti popoli dei Paesi poveri.
Abbiamo il dovere di riflettere ma soprattutto il dovere di reagire con più tenacia a queste visioni deformi, il dovere di spostarci dall'orlo del baratro in cui rischiamo di finire. E' ora che l'Europa tutta - e non solo la parte progressista - scelga di essere davvero "EUROPA".
Gli spunti di riflessione generale e "lati" sono invece tanti, dopo l'emozione del momento. Intanto si sdogana finalmente l'esistenza reale di un estremismo legato a motivi religiosi di matrice cristiana. Infatti, nonostante ovviamente l'aspetto "psicopatico" del gesto dell'assassino norvegese, non si può più far finta che nel mondo occidentale non esistano gruppi estremisti - di destra cristiana fondamentalista - che inneggiano all'isolazionismo, alla "purezza" delle razze, all'incomunicabilità fra popoli e civiltà diverse. Gruppi che negano ogni forma di integrazione e che negano quindi la storia stessa dell'uomo, soprattutto dell'uomo europeo: dunque negano il concetto stesso di Europa così come abbiamo imparato a conoscerlo noi, soprattuto la mia generazione che ha studiato sui sussidiari della scuola elementare l'Europa dei blocchi contrapposti e poi ha terminato gli studi in una Europa U.E., che andava da nord a sud e da est a ovest. Un'Europa che voleva andare oltre le differenze, oltre i confini nazionali, oltre le politiche dell' "ognuno per sè". Un'Europa che diventava un'unica voce nel mutato contesto mondiale, un'Europa - patria della democrazia ateniese, della rivoluzione francese e di Cesare Beccaria, del genio italico, della mescolanza di civiltà, lingue e culture - che finalmente doveva trasmettere al mondo un messaggio chiaro: si può crescere, si può stare meglio stando insieme, senza paura di mescolarci perchè solo con la conoscenza reciproca si può essere davvero portatori di pace e quindi di prosperità.
Il gesto di Oslo è l'atto osceno e plateale di un "male" che cova in occidente, quello stesso male che ha portato tanti disastri nella nostra storia di europei e nella storia di tanti popoli dei Paesi poveri.
Abbiamo il dovere di riflettere ma soprattutto il dovere di reagire con più tenacia a queste visioni deformi, il dovere di spostarci dall'orlo del baratro in cui rischiamo di finire. E' ora che l'Europa tutta - e non solo la parte progressista - scelga di essere davvero "EUROPA".
mercoledì 13 luglio 2011
DIRITTO DI SCEGLIERE: BIOTESTAMENTO NEGATO
Ieri la Camera dei Deputati ha approvato la legge sul biotestamento targata centrodestra. Una legge che di fatto impedirà - per bocca di chi si vanta di averla approvata - situazioni come quelle di Eluana Englaro in cui un padre è riuscito, dopo una serie di vicissitudini e sentenze giudiziarie, ad eseguire le volontà della figlia, all'epoca diciassettenne, di interrompere il trattamento di nutrizione artificiale in caso di irreversibilità della propria condizione di salute.
Mi chiedo quale Stato democratico, liberale e occidentale abbia una norma simile a quella approvata ieri dal nostro Parlamento, in quale Paese lo Stato si inserisca a gamba tesa nella vita privata dei suoi cittadini, pretendendo di decidere sulla vita o sulla morte degli individui; la destra italiana non fa parte della destra moderata europea: è infatti una destra retrograda, oscurantista, vaticanista, illiberale, una destra che pretende di dare una interpretazione religiosa e di parte alle regole dello Stato - che invece dovrebbe essere laico e quindi equidistante; una destra che pretende di dire cosa è più giusto, cosa è morale, cosa è lecito e cosa non lo sia, che afferma l'esistenza di famiglie di serie A e famiglie di serie B, che entra nel letto degli italiani non accettando una esistenza paritaria per gli omosessuali, che non accetta che ognuno di noi decida della propria vita e pretenda che trattamenti invasivi, innaturali e artificiali come l'idratazione e nutrimento artificiali siano imposti a chiunque, qualunque sia la condizione effettiva di vita ( o non vita) dei pazienti e la loro effettiva volontà.
Semmai mi capitasse, io non voglio vivere come Eluana Englaro, non voglio vivere come Piergiorgio Welby, costretto ad essere massacrato e violato per anni pur volendo interrompere la sua vita, dopo aver passato una vita di gioie e sacrifici ma riconoscendo a un certo punto di non farcela più. Ma anche il diritto di "non farcela più" ci è stato tolto.
martedì 5 luglio 2011
TAV: PARADIGMA ITALIANO
Si TAV o no TAV? Questo interrogativo è tornato alla ribalta negli ultimi giorni in occasione dell'apertura del cantiere in Val di Susa dove migliaia di persone (abitanti della valle e non) hanno manifestato contro l'inizio dei lavori per la costruzione i un tratto del CORRIDOIO V, previsto insieme agli altri 13 progetti strategici di sviluppo dell'Unione Europea nel 1996 (vertice europeo di Essen), poi ripresi al Vertice europeo di Cardiff nel 1998. Un progetto di lunga data oramai che ha avuto molti sostenitori e detrattori in Italia.
Sicuramente nelle fasi iniziali di progetto non si è proceduto ad un coinvolgimento diretto delle istituzioni locali e della popolazione, che per molto tempo è rimasta all'oscuro dell'opera, alimentando dunque preoccupazioni, a volte realistiche, molte altre no. Sicuramente in seguito, in particolare con l'ultimo governo Prodi, il progetto ha subito notevoli modifiche grazie al "passaggio" attraverso i pareri e le osservazioni di molti enti locali, trasformando il prodotto iniziale in un progetto sicuramente meno alieno e più "partecipato" rispetto a quello iniziale, meno impattante a livello paesaggistico.
Ma oramai i tempi delle opinioni sono terminati (così come la pazienza dell'Unione Europea che subisce le pressioni della Francia che preferirebbe spostare il percorso al di là delle Alpi, tagliondo fuori l'Italia): è il momento di partire con un'opera che, sebbene molti del movimento "no tav" ritengono inutile e dannosa, sarà uno strumento di sviluppo economico a livello nazionale e di miglioramento delle condizioni di vivibilità per la Val di Susa, interessata da un traffico merci su gomma che stressa le arterie stradali e che produce inoltre emissioni inquinanti.
E' dunque poco utile e dannoso il perpetuarsi di azioni di protesta a testa bassa, anche violente, per bloccare un'opera di rilevanza internazionale e la miopia con cui cisi ostina ad essere non contro questo progetto in particolare, ma contro qualunque possibilità che la linea TAV passi per la Val di Susa, la trovo sconcertante e simbolo di un popolo, quello italiano, troppo spesso in preda agli egoismi personali, di corporazione, o di campanile: possibile che l'interessa nazionale, l'interesse comune debba venire sempre e comunque meno rispetto a veti di singole comunità o pochi individui? Qual'è il punto di equilibrio?
Ovvio, ogni situazione ha un suo punto di equilibrio: di certo credo che nella storia della TAV in Val di Susa questo limite sia stato oramai superato.
Sicuramente nelle fasi iniziali di progetto non si è proceduto ad un coinvolgimento diretto delle istituzioni locali e della popolazione, che per molto tempo è rimasta all'oscuro dell'opera, alimentando dunque preoccupazioni, a volte realistiche, molte altre no. Sicuramente in seguito, in particolare con l'ultimo governo Prodi, il progetto ha subito notevoli modifiche grazie al "passaggio" attraverso i pareri e le osservazioni di molti enti locali, trasformando il prodotto iniziale in un progetto sicuramente meno alieno e più "partecipato" rispetto a quello iniziale, meno impattante a livello paesaggistico.
Ma oramai i tempi delle opinioni sono terminati (così come la pazienza dell'Unione Europea che subisce le pressioni della Francia che preferirebbe spostare il percorso al di là delle Alpi, tagliondo fuori l'Italia): è il momento di partire con un'opera che, sebbene molti del movimento "no tav" ritengono inutile e dannosa, sarà uno strumento di sviluppo economico a livello nazionale e di miglioramento delle condizioni di vivibilità per la Val di Susa, interessata da un traffico merci su gomma che stressa le arterie stradali e che produce inoltre emissioni inquinanti.
E' dunque poco utile e dannoso il perpetuarsi di azioni di protesta a testa bassa, anche violente, per bloccare un'opera di rilevanza internazionale e la miopia con cui cisi ostina ad essere non contro questo progetto in particolare, ma contro qualunque possibilità che la linea TAV passi per la Val di Susa, la trovo sconcertante e simbolo di un popolo, quello italiano, troppo spesso in preda agli egoismi personali, di corporazione, o di campanile: possibile che l'interessa nazionale, l'interesse comune debba venire sempre e comunque meno rispetto a veti di singole comunità o pochi individui? Qual'è il punto di equilibrio?
Ovvio, ogni situazione ha un suo punto di equilibrio: di certo credo che nella storia della TAV in Val di Susa questo limite sia stato oramai superato.
venerdì 1 luglio 2011
IL "NERO" CHE AVANZA - "nuova" politica, nuovo paesaggio
Siamo oramai in estate e le spiagge di Catanzaro tornano ad accogliere coloro che vogliono godersi il mare. Una delle caratteristiche di maggior pregio di alcuni tratti costieri è il contatto fra natura marina e natura costiera, elementi che contribuiscono a creare un paesaggio per noi catanzaresi quasi scontato ma che ha forte qualità e genera un forte impatto su chi, turista, vede per la prima volta questi luoghi. Una città intelligente è una città che sa riconoscere il valore dei propri beni e sà esplicitarlo e renderlo pienamente visibile, accessibile e fruibile in tutte le sue sfaccettature, tenendo presente un principio molto semplice: la SOSTENIBILITA' AMBIENTALE di qualunque tipo di intervento di gestione dello status quo o di riconfigurazione architettonica, urbana e paesaggistica del nuovo.
Spesso si utilizza la parola "sostenibilità" in tante occasioni, è spesso parola abusata da politici e/o parlatori di varia natura; abusata perchè appunto non compresa fino in fondo.
Pineta di Giovino - nuovo percorso carrabile |
Ieri mi è capitato di imbattermi in questa fotografia - tratta dalla pagina facebook di qualcuno che ha avuto la sfortuna di vivere in questa esperienza - in cui, senza nulla dire di tecnico o di complesso, i miei occhi hanno immediatamente visto qualcosa che non và, qualcosa di mostruoso. Mi son venute in mente le lezioni seguite per anni alla facoltà di architettura, dove per anni ci hanno inculcato i concetti fondamentali dell'approccio attento all'esistente, dell'"ascolto" di un territorio, del comprenderne le complessità, i punti didebolezza e quelli di forza per arrivare ad una riconfigurazione innovativa, contemporanea ma rispettosa di ciò che costituisce il carattere fondamentale dei luoghi, il "genius loci".
E riguardo allora questo "NERO" CHE AVANZA (che si affanneranno a giustificare come "mezzo" per agevolare l'accesso e il percorso delle automobili nell'area). Il nero di una politica ignorante, volgare, rozza: una politica che promette mari, monti e biodiversità - verdi - e restituisce volgarità, nere come il colore politico che la caratterizza.
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