Recentemente abbiamo assistito a due eventi di democrazia che hanno lasciato il segno: i risultati delle elezioni amministrative, che hanno ribaltato gli equilibri fra i due schieramenti principali attraverso soprattutto i risultati nelle grandi città; il risultato epocale del referendum, con un'affluenza alle urne fuori da ogni aspettativa e con un risultato incontrovertibile - la vittoria dei SI - che mette fine allla favola del Berlusconi che gode del sostegno della maggioranza degli italiani. Anche per il PD si leggono risultati incoraggianti: sia i risultati nelle singole città - ad eccezione di luoghi a sè come Napoli - sia i recenti sondaggi danno il principale partito di opposizione sulla soglia del 30%.
Ma come leggere questi risultati, come interpretare i numeri che oggi abbiamo a disposizione? Quale lezione deve trarne il PD, quale può essere la rotta da seguire per il prossimo futuro per non perdere la spinta di questo forte vento di cambiamento che si respira nel Paese?
Il PD deve intanto riflettere bene su ciò che è avvenuto, in parte per meriti propri ma in parte per meriti altrui.
La strategia delle primarie - vere - del coraggio, delle scelte chiare ha premiato il partito in molte realtà locali (in primis Milano); sapersi mettere in gioco senza paura, saper ascoltare la voce dei cittadini ha prodotto risultati notevoli, anche se vari "commentatori" e opinionisti ancora minimizzano i risultati ottenuti dal PD alla tornata delle elezioni amministrative.
La posizione assunta dal PD riguardo ai referendum è invece un altro tipo di atteggiamento che ha in sè alcuni aspetti non chiari e non sempre condivisi anche da molta parte della base: mi riferisco alla tardiva adesione alla causa referendaria, per fortuna avvenuta grazie anche alla forte spinta proveniente dalla base del partito. E' vero, come dice Bersani, che la politica non possa far tutto e che ci debba essere un reciproco ascolto e una reciproca compensazione fra politica e società civile (o civica); è anche però vero che un grande partito riformista debba saper ascoltare di più, debba essere più vicino alle istanze che provengono dal basso, debba saper intercettare meglio lo spirito e le aspettative.
E allora penso che il Partito Democratico debba avere più coraggio: il coraggio paga, l'ascolto della base paga, la chiarezza paga. Ancora c'è un cammino interno da completare, a livello di dirigenza, che ancora in molti casi non si allinea alla volontà della base del partito che è più avanti dei suoi rappresentanti; c'è da riavvicinare alla politica una parte consistente di cittadini che se n'è allontanata; c'è da costruire realmente e al più presto una alternativa di governo chiarendo finalmente i confini della coalizione e stilando un programma di governo. Le premesse ci sono tutte per andare avanti e per vincere ancora: è tempo di non avere timori e spiegare completamente le vele al vento del cambiamento che ci farà uscire dalla palude in cui viviamo attualmente.
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